Onorevoli Colleghi! - Nel corso della XIV legislatura il Ministro della giustizia, Roberto Castelli, istituiva una Commissione di studio per la riforma del codice di procedura penale, presieduta dal professor Andrea Antonio Dalia. Componenti della Commissione erano l'avvocato Claudio Botti, il sostituto procuratore della Repubblica Luciano D'Angelo, il giudice Angelo Di Salvo, il professor Giuseppe Frigo, il professor Alfonso Furgiuele, il professor Vincenzo Garofoli, il professor Angelo Giarda, il professor Dario Grosso, il professor Enrico Marzaduri, il professor Vito Formando, il professor Gustavo Pansini, l'avvocato Mario Papa, il professor Angelo Pennisi, l'avvocato Ettore Randazzo, il giudice Giampiero Serangeli, il consigliere presso la Corte di cassazione Giovanni Silvestri e il professor Giuseppe Spagnolo. La Commissione ha elaborato un progetto di nuovo codice di procedura penale che è teso soprattutto a questi obiettivi: recuperare la natura accusatoria del processo del 1988, garantire i diritti costituzionali delle parti e realizzare il principio della ragionevole durata del processo penale. Esso perciò costituisce un indispensabile punto di partenza per una rielaborazione dell'attuale codice, una trama a cui fare riferimento per intervenire anche su singoli aspetti dell'attuale codice, ma in una prospettiva di sicura organicità. Riprendendo la relazione del presidente della Commissione, professor Andrea Antonio Dalia, si procede all'illustrazione degli aspetti salienti della riforma.

      1. Premessa. - È parso opportuno, in via preliminare, intervenire sul lessico, per rendere più appropriato l'uso di alcune locuzioni.
      Non si parla più di «tribunale in composizione monocratico» e di «tribunale in composizione collegiale», bensì di «giudice monocratico del tribunale ordinario» e di «giudice collegiale del tribunale ordinario», essendo stato ritenuto non adeguato

 

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l'uso del termine «tribunale» (il cui etimo necessariamente ed inevitabilmente fa pensare al giudice collegiale composto da tre magistrati con funzioni giudicanti) anche con riferimento al giudice monocratico.
      Analogamente, posto che la locuzione «pubblico ministero» designa una funzione ben precisa - quella del «ministero pubblico», appunto - si è convenuto di distinguere tra «magistrato del pubblico ministero» e «ufficio del pubblico ministero», per indicare, rispettivamente, il titolare della funzione nel caso specifico e la legittimazione astratta all'esercizio di quella stessa funzione.
      Non si parla più genericamente di «autorità giudiziaria», ma si ricorre di volta in volta - nei limiti del possibile - alla doverosa specificazione che trattasi di «magistrato del pubblico ministero» o di «giudice» o di entrambi.
      La persona sottoposta alle indagini è detta, più semplicemente, «indagato».
      Analoga attenzione è stata riservata alle espressioni «fonti di prova», «elementi di prova», «prova» e «mezzo di prova». «Testimone» è il soggetto in grado di riferire quanto è a sua conoscenza sui fatti per i quali si procede, che, ad eccezione della persona offesa, non sia coinvolto dal processo, mentre è «dichiarante» l'imputato che rende dichiarazioni contra alios.
      Si è scelto, poi, di riservare il termine «perito» per designare sia l'esperto designato dal giudice sia l'esperto indicato dalle parti, oggi definito «consulente».
      Nella fase dell'esecuzione interviene il «giudice di sorveglianza» e non il «magistrato di sorveglianza», per rimarcare la natura giurisdizionale degli interventi, mentre al «tribunale della esecuzione» e non al «tribunale di sorveglianza» è devoluta la competenza funzionale a pronunciarsi sui reclami avverso i provvedimento del giudice monocratico.
      La formula «procedimento connesso» è stata specificata, a seconda del caso, in «processo per imputazioni connesse» e in «procedimento per indagini collegate».
      L'attuale «udienza preliminare» è stata definita «udienza di comparizione», per sottolineare che il primo contatto dell'interessato con il giudice può avere obiettivi diversificati. Si è ritenuto che «preliminare» sia, invece, l'udienza che precede l'istruzione in dibattimento.
      Qui, di seguito e nello specifico, le scelte che la Commissione ha ritenuto essere le più significative, richiamate in relazione a ciascuno dei libri del codice di procedura penale vigente.

      2. Libro primo. Soggetti. - Quanto ai soggetti del procedimento penale, si è intervenuto su:

      2.1. il giudice. - È stato rivisitato l'istituto della competenza, tra l'altro, per:

          1) eliminare quella singolare distinzione di «attribuzioni» tra composizioni diverse dello «stesso» giudice (il «tribunale monocratico e collegiale») e ripristinare la distinzione tra giudice monocratico e giudice collegiale del tribunale ordinario, con la devoluzione al primo della competenza dell'ex pretore e con recupero del valore della collegialità;

          2) ridurre la competenza del giudice di pace, per escludere da essa fattispecie implicanti maggiori complessità;

          3) ridurre la competenza per connessione alle sole ipotesi di pluralità di imputati per lo stesso fatto e di concorso formale di reati o reato continuato, per rendere più agevolmente gestibile il processo ed evitare il pericolo del maxi-processo;

          4) introdurre la categoria della competenza funzionale;

          5) cogliere la rilevanza costituzionale del criterio del locus commissi delicti, per eliminare criteri discrezionali di attribuzione della competenza per territorio;

          6) prevedere una competenza a rotazione tra le maggiori corti di appello per i procedimenti riguardanti i magistrati, per fatti inerenti all'esercizio della funzione, allo scopo di evitare il sospetto di «giurisdizione domestica», mantenendo fermo il criterio della competenza alla

 

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corte contigua solo per processi che vedono il magistrato altrimenti interessato;

          7) contenere i tempi di eccepibilità dell'incompetenza, prevedendo che essa sia denunciata dalle parti tempestivamente, non appena emerge la violazione delle regole attributive della competenza per funzione, materia, territorio o connessione, e, comunque, non oltre la conclusione della fase o del grado in cui viene rilevata, soprattutto allo scopo di evitare che dell'incompetenza per connessione, di cui potrebbe essere - di fatto - a conoscenza il solo imputato (e non anche il magistrato del pubblico ministero), possa essere - strumentalmente - taciuta l'esistenza per rinviarne la eccepibilità al momento ultimo, con palese violazione dei princìpi di economia ed efficienza del sistema processuale.

      Le scelte da ultimo operate investono, per l'effetto, anche il settore di disciplina:

          7a) delle misure cautelari: il mancato rispetto dei criteri attributivi della competenza rende inefficaci le misure cautelari disposte dal giudice che, in base ad atti acquisiti successivamente all'emissione dell'ordinanza, si dichiari o sia dichiarato incompetente;

          7b) della competenza rispetto ai procedimenti nei quali un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato o di persona offesa o danneggiata: l'ufficio del pubblico ministero si deve astenere da qualsiasi iniziativa, compresa l'iscrizione della notizia di reato nel registro, e rimettere ogni valutazione all'ufficio del pubblico ministero presso il diverso giudice competente per territorio. Omologa astensione è stata prevista «in favore» dei difensori, per i quali opera analogo spostamento della competenza, allo scopo di allontanare ogni possibile sospetto di «strumentalità» di iscrizioni nel registro delle notizie di reato.

      Si è, ancora, intervenuti per:

          8) rivisitare, per un aggiornamento e una maggiore razionalità, anche dal punto di vista del riconoscimento di diritti agli interessati, le norme in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice, prevedendo che in presenza della dichiarazione di ricusazione il giudice sospenda il processo, salvo il compimento degli atti dichiarati urgenti, e che la sospensione si estenda ai termini di prescrizione del reato e di custodia cautelare, ma che, decorso il termine riservato al giudice per decidere sulla dichiarazione di ricusazione, se non intervenga la decisione, riprendano a decorrere i termini di prescrizione e di durata della custodia cautelare;

          9) prevedere, in tema di rimessione - argomento, questo, di recente, fin troppo discusso - che la decisione di accoglimento della richiesta di rimessione comporti la caducazione degli effetti della sospensione precedentemente disposta, sia con riferimento alla custodia cautelare, sia con riguardo alla prescrizione del reato e che il riconoscimento della fondatezza della richiesta di rimessione non possa consentire il consolidarsi di effetti pregiudizievoli in capo all'imputato, con la conseguenza che nel decorso dei termini, sia prescrizionali che cautelari, si recuperino i periodi di sospensione;

          10) «aggiornare» gli istituti posti a salvaguardia della imparzialità del giudice, anche al fine di ricomprendere, tra le cause di incompatibilità, le «situazioni di fatto» corrispondenti agli status espressamente richiamati. Il diritto della parte alla «verifica» di imparzialità del giudice è stato assicurato in maniera più adeguata, scongiurando iniziative meramente dilatorie, ma, nel contempo, eliminando pregiudizi derivanti dal corretto uso degli strumenti processuali di verifica. Nella nozione di «capacità del giudice» sono stati inseriti, poi, tutti quei requisiti che assicurano il rispetto del principio di naturalità.

      2.2. Pubblico ministero. - Sono state riordinate, dal punto di vista sistematico, le disposizioni relative alla funzione di pubblico ministero, sia dal punto di vista

 

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dei rapporti tra uffici diversi, sia dal punto di vista delle finalità delle iniziative.
      Sono state previste specifiche incompatibilità in presenza di vicende comportanti una diversa competenza territoriale del giudice (rimessione dei procedimenti riguardanti magistrati e avvocati).

      2.3. Polizia giudiziaria. - Quanto alla polizia giudiziaria, si è ritenuto di proporre l'abolizione delle «sezioni» e concentrare le attività investigative in capo ai «servizi», per una più razionale utilizzazione del personale e una maggiore responsabilizzazione degli addetti alla funzione, chiamati a risponderne al procuratore della Repubblica ed al procuratore generale presso la corte di appello.

      2.4. Indagato e imputato. - Sono state riviste le disposizioni sulle dichiarazioni indizianti, al fine di evitare possibili aggiramenti della garanzia di non autoincriminazione.
      Sono state rettificate le regole generali per l'interrogatorio, in sintonia con la nuova figura del «dichiarante», il quale, una volta che abbia scelto di rendere dichiarazioni erga alios, non può più sottrarsi alle domande.
      Nel fissare il principio dell'assoluta inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti rese da colui che non ha ancora assunto la qualità di indagato o di imputato, la proposta di modifica ha comportato la previsione di inutilizzabilità nel caso di dichiarazioni rese in epoca antecedente all'iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato, nonché l'estensione dell'inutilizzabilità anche al caso di tardiva iscrizione nel registro, qualificando come «tempestiva» l'iscrizione effettuata non oltre le quarantotto ore dalla ricezione della notizia di reato.
      È stata potenziata la presenza dell'interprete per assicurare il diritto all'informazione dell'indagato e dell'imputato.
      L'imputato giudicato in contumacia è restituito in termini non già quando prova di non avere avuto conoscenza del procedimento, ma quando dagli atti risulta che questa conoscenza non v'è stata.
      Stante la distinzione tra «testimone» e «dichiarante» (distinzione, come accennato, fondata sulla sussistenza o meno di interesse nel soggetto chiamato a rendere le proprie dichiarazioni, con l'unica significativa eccezione della persona offesa), è emersa l'esigenza di specificare che ha la capacità di testimoniare ogni persona che non abbia interesse nel procedimento, fatta salva la persona offesa dal reato.
      La sospensione del procedimento per incapacità dell'indagato o dell'imputato a parteciparvi è stata strutturata in modo da evitare inutili e dispendiosi rinvii (l'attuale disciplina prevede accertamenti periodici gravosi) e, pertanto, l'incarico al perito è conferito pure al fine di stabilire la presumibile durata dell'impedimento e la sospensione è disposta per il tempo ritenuto necessario sulla base delle indicazioni fornite dal perito.

      2.5. Persona offesa e persona danneggiata dal reato. - Risponde all'esigenza di snellimento del processo l'identificazione della persona danneggiata con la persona offesa dal reato, ai fini della possibile costituzione di parte civile.

      2.6. Difensore. - Le norme sul difensore sono state ritoccate per rendere più effettive le garanzie e scongiurare strategie dilatorie.

      3. Libro secondo. Atti. - In tema di atti, la Commissione si è occupata essenzialmente della verbalizzazione, delle notificazioni, delle nullità, della dissentig opinion.

      3.1. Il verbale. Deve essere, di regola, redatto in forma compiuta, quando l'attività che si svolge richiede una puntuale trascrizione. Le parti devono concordare sulla scelta della verbalizzazione in forma riassuntiva.

      3.2 Le notificazioni. Sono state notevolmente semplificate, mediante il ricorso anche a sistemi di comunicazione telematica, ma sono state strutturate, in aderenza alla giurisprudenza degli organi di giustizia

 

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europea, in modo da assicurare che l'interessato abbia conoscenza dell'atto introduttivo del giudizio. In questa ottica, sono stati responsabilizzati i capi delle comunità dove risiede l'indagato o l'imputato, i quali assumono l'onere della notificazione ad personam. Anche il difensore assume oneri in materia.

      3.3. Le nullità. - La delicatezza del tema ha indotto la Commissione ad ipotizzare una sola nullità insanabile, rilevabile ed eccepibile in ogni stato e grado del processo, conseguente alla mancata citazione a giudizio dell'imputato, mentre per tutte le altre nullità - caduta la distinzione tra assolute e relative - sono stati introdotti sbarramenti, tesi ad impedire la gestione strumentale del vizio dell'atto.

      3.4. L'opinione del dissenziente. - L'istituto, introdotto, come è noto, a seguito dell'approvazione della legge sulla responsabilità dei magistrati, a tutela della posizione del singolo giudice nell'ambito della decisione collegiale, può avere, ad avviso della Commissione, una funzione di trasparenza della formazione del convincimento giudiziale.
      La dissentig opinion del giudice, finora, per altro, manifestata in casi del tutto sporadici, deve essere resa pubblica.

      3.5. Altri accorgimenti. - Ci si è occupati, altresì, dell'udienza in camera di consiglio, che è stata sgravata dagli eccessivi formalismi, della declaratoria delle cause di non punibilità e della procedura per la correzione dell'errore materiale, sensibilmente ampliata, per evitare superflue impugnazioni.

      4. Libro terzo. Prove. Libro settimo. Giudizio. - La relazione congiunta sulle proposte di modifiche al libro terzo e al Libro settimo è suggerita dal «vincolo tra prove e giudizio» (in dibattimento), proprio del modello processuale accusatorio prescelto già dal riformatore del 1988 e riaffermato da questa Commissione.
      La Commissione ha inteso ribadire la originaria opzione accusatoria e anche coglierne le implicazioni sul piano sistematico.

      4.1. In un processo adversary le prove costituiscono gli strumenti della attività argomentativa delle parti, che le rappresentano e le formano originariamente in contraddittorio davanti al giudice, di regola nel contesto spaziale e temporale del dibattimento. Sono, poi, una volta espresse nel risultato probatorio, gli strumenti della decisione che quello stesso giudice deve adottare.
      Emblematica del vincolo è la nuova previsione, tra le disposizioni generali sulle prove, secondo cui «I mezzi di prova si assumono in dibattimento» e, di seguito, con alcune significative modifiche, le eccezioni, costituite dall'assunzione anticipata mediante «incidente probatorio». Chiara risulta la simmetria (e l'integrazione) tra queste previsioni e quella per la quale, ai fini della deliberazione, il giudice può utilizzare soltanto le prove «legittimamente acquisite nel dibattimento».

      4.2. Dal punto di vista sistematico risulta di particolare rilievo, con riguardo al libro terzo, l'eliminazione del titolo III, avente per oggetto i cosiddetto «mezzi di ricerca della prova», un genus che si è ritenuto di sopprimere, essendosi rilevato che, in realtà, si tratta di misure (di solito adottate nell'ambito delle attività di indagine) funzionali ad assicurare dati di rilievo probatorio e, quindi, appropriatamente ascrivibili al novero delle «cautele», tanto più in quanto finiscono, poi, per incidere direttamente, sacrificandoli in diversa misura, su diritti fondamentali (libertà personale, domiciliare, di corrispondenza e comunicazione, proprietà e disponibilità di beni), così da postulare garanzie della stessa qualità di quelle previste per le misure cautelari.
      Ed è in quest'ultimo ambito, quindi, cioè nel libro quarto, che è stata trasferita la disciplina, con la corrispondente configurazione - accanto alle tradizionali misure cautelari personali e reali - della nuova categoria delle «misure cautelari per la prova». Il libro terzo resta, quindi,

 

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composto di due soli titoli, dei quali, il primo, è dedicato alle disposizioni generali, il secondo ai diversi «mezzi di prova».

      4.3. Tra le disposizioni generali spiccano, per interesse, le novità introdotte in tema di «valutazione della prova».
      La rubrica «Limiti alla libera valutazione della prova» (che sostituisce l'attuale e apparentemente «neutra» «Valutazione della prova») tende a sottolineare, nel momento stesso in cui sono individuati dei «limiti», il principio della libertà del giudice in materia, già del resto palesato dalla previsione che il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, la cui formula è stata trasferita - sempre per ragioni parse sistematicamente più appropriate - nella disposizione che individua le prove utilizzabili per la decisione, altro stretto vincolo tra norme sulle prove e norme sul giudizio.
      Circa il contenuto delle previsioni sui limiti alla libera valutazione della prova, è da notare che, quale primo «limite», è individuato quello emergente dall'articolo 111, quarto comma, secondo periodo, della Costituzione e, subito dopo, è stabilito che le «dichiarazioni di chi ha interesse nel procedimento» non possono costituire fondamento esclusivo di una affermazione di colpevolezza, mentre è sottolineata la limitata valenza probatoria contra reum delle dichiarazioni dei coimputati (anche di imputazioni connesse o di fatti collegati sul piano probatorio, oggetto, rispettivamente, di processo o procedimento separato), inidonee da sole a fondare una affermazione di responsabilità, ma da valutare «unitamente ad elementi di prova documentale, testimoniale o reale». Nulla è mutato, invece, circa i limiti di libera valutazione degli indizi.

      4.4. Nella disciplina dei singoli «mezzi di prova», la riforma tocca, in particolare, la testimonianza, l'esame delle parti, la perizia, la prova documentale, la ricognizione, l'esperimento giudiziale.

      4.4.1. In tema di «testimonianza», si è specificato che i «fatti» su cui il testimone è esaminato sono solo quelli «dei quali ha diretta e personale conoscenza». Il che già significa che egli non può essere interrogato sul «sentito dire». Peraltro, ove, comunque, egli finisca per riferirsi, nel corso della testimonianza, a fatti conosciuti attraverso altre persone, viene introdotta una vera è propria «regola di esclusione», in forza della quale, per tale parte, la testimonianza stessa è intrinsecamente inutilizzabile. Tuttavia, questa testimonianza de relato può essere utilizzata per le contestazioni, se il teste di riferimento è fatto comparire ed è esaminato: si instaura, in questo modo, una identità di trattamento fra una eventuale precedente dichiarazione difforme «documentata» (indubbiamente utilizzabile appunto per le contestazioni) e quanto semplicemente riferito da un teste. Ed in effetti è sembrato che le due situazioni siano identiche. La regola così posta, tuttavia, non è applicabile quando il testimone è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, cui è vietato «in radice» deporre sul contenuto di dichiarazioni acquisite o comunque ricevute, dal momento che di tutto ciò dovrebbe esservi verbale (unicamente utilizzabile per le contestazioni).
      Secondo risalente tradizione di common law, sono introdotte eccezioni alla citata regola di esclusione, quando è impossibile ottenere la comparizione del testimone di riferimento a causa di morte, infermità o irreperibilità. Ma la loro valenza probatoria è limitata, dovendo esse venire corroborate da elementi di prova di diversa natura.
      Sono mantenute, pur con significative modificazioni, le previsioni secondo le quali anche le parti possono costituire fonte di prova. Per marcare, tuttavia, la distinzione con la testimonianza si è preferito fare ora riferimento alla «dichiarazione» o alle «dichiarazioni» e non più all'«esame».
      È stata introdotta una distinzione tra l'imputato e le altre parti: il primo rende dichiarazioni ed è esaminato soltanto a sua richiesta. Le altre parti (responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria) sono esaminate anche se consentono

 

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a fronte della richiesta di altra parte. Nulla è previsto per la parte civile, ma in proposito soccorrono le norme sulla testimonianza, quando si tratti della vittima del reato.
      La soluzione che si propone è sicuramente la più razionale e la più conforme ai princìpi del giusto processo: la chiamata in correità o in reità ha sicuramente fondamento probatorio; tuttavia, in considerazione dell'interesse che può muovere il dichiarante, deve essere riscontrata - come già sottolineato - da elementi di prova di natura diversa, vale a dire testimoniale, documentale o reale. La testimonianza, infatti, è resa da chi non ha interesse nel processo, eccezion fatta per la persona offesa.
      Si è, in tal modo, risolto l'annoso problema della «circolarità» della prova, dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca del coimputato-accusatore, della «concertazione» tra chiamanti in correità, problema che da oltre un decennio è all'attenzione del Parlamento, ma non ha trovato ancora una soluzione. Ovviamente, la soluzione proposta è strettamente legata alla «rivisitazione» della testimonianza indiretta.

      4.4.2. Il mezzo di prova «esame delle parti» è stato denominato «dichiarazione delle parti», sia per evidenziare la natura di dichiarante del coimputato, sia per specificare che l'imputato rende dichiarazioni solo a sua richiesta.

      4.4.3. Coerente con la logica del processo di parti è la nuova disciplina della «perizia», che perde in buona misura i suoi connotati di inquisitorietà e ora diviene mezzo di prova, in primo luogo, delle parti e solo residualmente per introduzione d'ufficio da parte del giudice. Le parti non si avvalgono di consulenti tecnici (figura abolita), ma di «periti».

      4.4.4. Nell'ambito della «prova documentale», si è ribadito che gli anonimi non possono essere acquisiti o utilizzati, ma possono solo sollecitare investigazioni della polizia giudiziaria, la quale non deve allegarli alla relazione sulla notizia di reato che trasmette all'ufficio del pubblico ministero.

      4.4.5. La violazione delle norme sulla «ricognizione» comporta la inutilizzabilità dell'atto, mentre le modalità di svolgimento dell'«esperimento giudiziale» si determinano, ora, con l'intervento delle parti.

      4.5. La disciplina del «dibattimento» è stata radicalmente ristrutturata.

      4.5.1. Dal punto di vista «sistematico», sono stati modificati i primi due titoli, mentre il terzo è rimasto sostanzialmente immutato.
      Il titolo I è stato distinto in due capi, dei quali il primo comprende le attività preliminari al dibattimento, corrispondenti, in parte, agli attuali «Atti preliminari al dibattimento» (atti del presidente, con l'aggiunta che è tenuto a verificare tempestivamente la regolarità delle notificazioni, atti urgenti e deposito delle liste testimoniali) e comprendenti anche l'attività integrativa di indagine del magistrato, del pubblico ministero e del difensore, previsione sottratta al libro quinto.
      Il capo II rappresenta una novità, perché è dedicato alla «Udienza preliminare alla istruzione dibattimentale», in camera di consiglio, prevista per la costituzione delle parti, la soluzione di questioni preliminari, il proscioglimento anticipato, la definizione anticipata con rito abbreviato o applicazione della pena, l'ammissione dei mezzi di prova, la formazione del fascicolo per l'istruzione dibattimentale, la fissazione dell'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova.
      Il titolo II è dedicato alla istruzione dibattimentale e alla discussione e si articola in un capo I (Disposizioni generali), in un capo II (Acquisizione dei mezzi di prova), un capo III (Nuove contestazioni) e in un capo IV (Discussione finale).

      4.5.2. Le «disposizioni generali» sono quelle, già previste, relative alla pubblicità dell'udienza, ai casi in cui si procede a porte chiuse, all'ordine di procedere a

 

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porte chiuse, all'assistenza dell'imputato all'udienza, all'allontanamento coattivo dell'imputato, ai reati commessi in udienza, alla durata e prosecuzione del dibattimento, alle questioni incidentali, al verbale di udienza, al contenuto del verbale, al diritto delle parti in ordine alla documentazione, alla sottoscrizione e trascrizione del verbale, alle dichiarazioni spontanee dell'imputato e alle dichiarazioni del contumace.

      4.5.3. Novità sono state introdotte nel capo II, relativo «all'acquisizione dei mezzi di prova», strutturato in modo che ciascuna parte indichi l'ordine di assunzione dei propri mezzi di prova, nel corso dell'udienza preliminare al giudizio, così da consentire la calendarizzazione delle udienze successive, fermo restando il principio secondo cui i mezzi di prova indotti dall'accusa devono essere assunti in via prioritaria. L'ordine di assunzione dei mezzi di prova non riguarda solo quelli rappresentativi, ma si estende anche a quelli documentali.
      Sono state introdotte, poi, alcune regole:

          a) la parte, la cui domanda sia stata ritenuta inammissibile dal presidente, ha diritto di ottenere il riesame della decisione di inammissibilità della domanda stessa (collegiale nel caso di giudice non monocratico);

          b) deve essere assicurata la continuità nell'assunzione del mezzo di prova;

          c) nel caso in cui un mezzo di prova sia stato ammesso su indicazione di più parti, a ciascuna parte è riconosciuto il diritto di esaminare la fonte autonomamente, nell'ambito del proprio ordine, anche sulle medesime circostanze;

          d) è stata inserita, tra le regole che disciplinano i poteri di intervento del presidente nel corso dell'istruzione dibattimentale, la previsione che, se la parte eccepisce il carattere suggestivo della domanda, il presidente non può invitare chi l'ha proposta, o ha lo stesso interesse processuale, a riformularla in termini diversi;

          e) per quel che concerne la questione dell'ammissibilità di domande e di opposizioni, è stato escluso, quanto alle seconde, qualsiasi onere di motivazione nella proposizione e nel rigetto (che comunque non potrà essere oggetto di reclamo allo stesso giudice), al fine di evitare l'indebita strumentale interruzione nell'iter di assunzione del mezzo di prova; viceversa, per le domande dichiarate inammissibili, è consentito alla parte interessata di chiedere, al termine dell'assunzione dei suoi mezzi di prova, che il giudice, sentite le parti in camera di consiglio, riesamini la valutazione di inammissibilità;

          f) è stata definita la figura del «testimone ostile», consentendo alla parte che procede all'esame, se può dimostrare sulla base degli elementi in suo possesso che il teste è «ostile», di chiedere al giudice di essere autorizzato a proseguire l'esame secondo le regole del controesame; si considera «avverso» il testimone che, nel corso dell'esame, rende dichiarazioni palesemente contrastanti con l'assunto della parte che ne ha richiesto l'esame;

          g) il giudice decide, sentite le parti in camera di consiglio, presa conoscenza degli documenti a supporto della richiesta.

      4.6. Sulla base di questi criteri sono state definite le disposizioni relative «all'ordine nell'acquisizione dei mezzi di prova», agli ulteriori «provvedimenti sui mezzi di prova», all'assunzione della testimonianza e degli altri mezzi di prova a essa assimilati.

      4.6.1. L'esame diretto è condotto dal magistrato del pubblico ministero o dal difensore che ha richiesto l'ammissione del mezzo di prova e dai difensori delle altre parti che hanno con il richiedente interesse comune. Si svolge mediante domande su fatti specifici, nell'ambito delle circostanze indicate nella lista, nonché nelle richieste proposte e nelle specificazioni date in fase di ammissione dei mezzi di prova. Quando, in relazione a domande

 

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specifiche, il soggetto esaminato riveli difficoltà di rispondere, il giudice, a richiesta di parte, può autorizzarlo a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui personalmente redatti in occasione e nella immediatezza dei fatti oggetto delle domande medesime. Restano fermi i divieti di lettura e di acquisizione. Una volta concluso l'esame diretto a opera di una parte, non sono ammesse altre domande ad opera della stessa parte, salvo quanto previsto in tema di riesame o in relazione al contenuto di domande formulate dal giudice. Nell'esame diretto sono vietate domande generiche, idonee a provocare una narrazione continuata, nonché domande suggestive o implicative o altre domande aventi, comunque, attitudine a orientare o suggerire la risposta. La domanda dichiarata inammissibile, fatta eccezione per la domanda generica, non può essere riproposta sotto alcuna altra forma.

      4.6.2. Il «controesame» sui fatti si svolge nell'ambito delle circostanze indicate come oggetto dell'esame, anche se sulle stesse il testimone ha già risposto nel corso dell'esame o del medesimo controesame. Ai fini della valutazione di credibilità del testimone sono consentite domande anche su ogni altro fatto o circostanza. Nel controesame sono consentite le domande vietate nell'esame. Ai soli fini della valutazione di credibilità del testimone, nel controesame, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, è consentito servirsi delle dichiarazioni difformi precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del magistrato del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto.
      Per controllare la correttezza della contestazione il presidente, anche d"ufficio, può chiedere che sia esibita la relativa documentazione.
      È facoltà di chi svolge il controesame servirsi anche di documenti di cui non è stata chiesta o è stata rifiutata l'ammissione e che, a domanda di chi se ne è servito, sono inseriti nel fascicolo dell'istruzione dibattimentale e acquisiti, se ammissibili.

      4.6.3. Durante l'assunzione della «testimonianza» la sequenza delle domande e delle risposte non può essere interrotta dal presidente, se non per dichiarare, su opposizione di parte, inammissibile una domanda o per vietare una risposta a seguito di domanda inammissibile o per respingere un'opposizione. Con l'opposizione, l'opponente si limita ad indicare la ritenuta causa di inammissibilità. La decisione del presidente è presa nell'immediatezza e senza motivazione. La decisione che rigetta l'opposizione non può essere oggetto di successiva questione incidentale. La decisione che, accogliendo l'opposizione, dichiara inammissibile una domanda può essere oggetto, in via incidentale e a istanza della parte interessata, di una nuova valutazione da parte del giudice, dopo che si è conclusa l'acquisizione di tutti i mezzi di prova nel cui ambito l'opposizione è stata proposta. Il giudice decide, sentite le parti, in camera di consiglio.
      Al termine dell'assunzione della testimonianza a opera delle parti, il presidente, anche su indicazione di altro componente del collegio, nell'ambito delle circostanze oggetto dell'esame, del controesame e del riesame, può rivolgere domande al soggetto esaminato, osservando le regole stabilite per l'esame e fermo il diritto delle parti di concludere l'assunzione del mezzo di prova, formulando domande solo nell'ambito delle circostanze emerse a seguito delle domande del giudice.
      Sono state previste espressamente anche le ipotesi di rifiuto di rispondere e di impossibilità sopravvenuta del controesame, così come è stato disciplinato il regime delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni, l'esame dei periti.

      4.7. Anziché di «letture» si è deciso di parlare di «acquisizione» di documenti, di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza di comparizione, per fissare,

 

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ovviamente, anche i casi di divieto di acquisizioni documentali.

      4.8. Conclusa l'istruzione dibattimentale e in relazione ai risultati complessivi della medesima, le parti possono richiedere «l'acquisizione di nuovi mezzi di prova», che il giudice ammette se risultano indispensabili ai fini della decisione. Del resto, il giudice, in base ai risultati conseguiti, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'istruzione, mediante nuova acquisizione di mezzi di prova già acquisiti ovvero acquisizione di nuovi mezzi di prova, così come in caso di inerzia o di richiesta inammissibile delle parti, dispone di ufficio l'acquisizione di mezzi di prova, attinenti all'imputazione, quando, sulla base degli elementi acquisiti, risulti indispensabile ai fini della decisione.
      L'assunzione di mezzi di prova può riguardare anche atti, documenti e oggetti costituenti prove reali, inseriti nel fascicolo per l'istruzione dibattimentale. Tali mezzi sono acquisiti nell'ordine stabilito dal giudice e con le modalità previste per ciascuno di essi. Se si tratta di testimonianze o di altri mezzi di prova assimilati, il presidente provvede direttamente all'esame, stabilendo all'esito la parte che deve condurre l'esame diretto.

      4.9. In tema di «contestazione suppletiva», la Commissione ha ritenuto di dover modificare l'attuale disciplina, nel senso che è ammessa la contestazione, prescindendo dal consenso dell'imputato, solo di circostanze aggravanti, mentre, sia per il reato concorrente, sia per il fatto nuovo, sia per il fatto diverso, la relativa contestazione è subordinata al consenso dell'imputato.

      4.10. Al fine di consentire la «conclusione anticipata del dibattimento», quando l'istruzione ha oramai delineato il tema della decisione, è parso opportuno prevedere che l'imputato, fino al termine dell'assunzione dei mezzi di prova richiesti dal magistrato del pubblico ministero, possa chiedere l'applicazione di una pena concordata, così come è stato previsto che il giudice, terminata l'assunzione dei mezzi di prova richiesti dal magistrato del pubblico ministero, se risulta che la prova acquisita è palesemente inidonea a sostenere l'accusa in giudizio, inviti le parti a concludere.

      4.11. Infine, la Commissione ha deciso di eliminare qualsiasi distinzione in ordine alla «formula di assoluzione», procedendo, altresì, ad una inversione tesa ad anticipare la formula del ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato rispetto alle altre cause di assoluzione.

      5. Libro quarto. Misure cautelari. - Numerose e importanti sono le modifiche proposte in tema di provvedimenti cautelari limitativi delle libertà costituzionali della persona.
      Il libro quarto del codice è ora composto di cinque titoli di cui tre nuovi: il titolo I dedicato ai «Princìpi», il IV che regola le «Misure cautelari probatorie» e il V che riunifica le varie ipotesi di impugnazioni oggi previste. Rimandando all'articolato per l'esame delle tante modifiche, in questa sede si evidenziano le soluzioni più significative adottate dalla Commissione al fine di assolvere al proprio mandato.

      5.1. Nel titolo I la Commissione ha riaffermato, in termini più espliciti, il «principio di legalità cautelare», per cui le libertà della persona possono essere limitate soltanto con una delle misure cautelari tipizzate e il provvedimento può essere applicato esclusivamente rispettando le forme previste. Ha, altresì, normativizzato la «riserva di giurisdizione»: i provvedimenti cautelari possono essere emessi esclusivamente dal giudice competente per la fase del procedimento, che non può agire d'ufficio, ma necessita di una richiesta del magistrato del pubblico ministero. Tuttavia, quando sussistono «inderogabili ragioni di assoluta necessità e urgenza», che non consentono di attendere l'intervento del giudice, il magistrato del pubblico ministero può disporre un provvedimento cautelare che deve, però, essere

 

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comunicato, entro ventiquattro ore, al giudice competente per la sua convalida nelle forme di legge. Tale potere è stato significativamente limitato alle sole misure cautelari reali e probatorie.

      5.2. Nel titolo II sono disciplinate le «misure cautelari personali».
      Per garantire l'adozione di una misura cautelare solo in presenza di un quadro probatorio estremamente grave, quanto più vicino possibile, «allo stato», a quello richiesto per potersi, in seguito, affermare la colpevolezza, la Commissione ha sostituito l'equivoca espressione «gravi indizi», utilizzata del codice vigente, con la più efficace previsione di «gravi elementi di colpevolezza», nella valutazione dei quali si applicano le disposizioni utilizzabili per il giudizio, in ordine ai limiti alla libera valutazione della prova, ai limiti all'utilizzabilità della testimonianza indiretta, alla inutilizzabilità delle notizie fornite dagli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza e ai divieti di utilizzazione dei risultati di intercettazioni telefoniche illegittimamente eseguiti.
      Per orientare il giudice nella scelta della misura più adeguata a soddisfare, nel caso concreto, le «esigenze cautelari» e evitare, al tempo stesso, sacrifici della libertà personale non necessari, ha stabilito, tra l'altro, che, «quando sussiste pericolo di inquinamento o dispersione delle fonti di prova o di reiterazione del reato», si può applicare una misura coercitiva solo se si è verificata l'inidoneità di una misura interdittiva.
      Per le stesse finalità ha anche previsto che il giudice non possa disporre la custodia cautelare quando ritenga che, «in caso di sentenza definitiva di condanna, possa essere concesso, in fase di esecuzione, l'affidamento in prova al servizio sociale».
      Nel corso delle indagini preliminari, il giudice, prima di decidere sull'applicazione di una misura cautelare personale, deve procedere «all'interrogatorio del destinatario» della richiesta del magistrato del pubblico ministero.
      La Commissione si è così orientata per garantire, in una fase ove ancora non si è realizzata la discovery e attuato il contraddittorio, un'adeguata e non formale tutela del diritto di difesa e, al tempo stesso, per assicurare una maggiore «autorevolezza» alla decisione.
      Il principio del «contraddittorio anticipato» si realizza, ovviamente, in forme diverse a secondo dell'emananda misura.
      Se è richiesta l'applicazione di una misura coercitiva non detentiva o di una misura interdittiva, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato. Se il magistrato del pubblico ministero ha, invece, richiesto l'applicazione di una misura coercitiva detentiva, il giudice, se la richiesta non appare destituita di fondamento, dispone, prima, l'arresto dell'indagato e, successivamente, entro cinque giorni, fissa l'udienza in camera di consiglio, nel corso della quale interroga l'indagato, sente le parti e assume, eventualmente, quei mezzi di prova ritenuti decisivi ai fini della valutazione della richiesta.
      L'indagato, in udienza, può chiedere il giudizio direttissimo, per ottenere così un immediato esame nel merito della vicenda o la definizione anticipata, mediante applicazione di pena o giudizio abbreviato, soluzioni praticabili in fase dibattimentale.
      Il giudice, fuori di queste ipotesi, è tenuto a decidere con ordinanza entro dieci giorni dalla conclusione dell'udienza.
      L'arresto provvisorio, in ogni caso, non può avere durata superiore a trenta giorni.
      I termini di custodia cautelare sono stati rimodulati dalla Commissione in modo da risultare adeguati alle nuove procedure, in molti casi, più rapide di quelle vigenti, essendo stati eliminati o semplificati molti adempimenti.
      I termini di «durata massima delle misure coercitive» sono stati unificati, eliminando la differenza vigente tra misure applicative dalla custodia cautelare e misure non detentive.
      È stato, invece, aumentato da due mesi a sei mesi «il periodo d'efficacia delle misure interdittive», nell'ottica perseguita di farne un efficace strumento alternativo alle misure coercitive.

 

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      Tra le ipotesi che danno luogo a «un'equa riparazione per ingiusta detenzione» è stata introdotto anche l'erroneo ordine d'esecuzione.

      5.3. Il titolo III è dedicato alle «misure cautelari reali»: sequestro conservativo e sequestro preventivo. La Commissione ha stabilito che dette misure debbano essere adottate alle stesse condizioni e nel rispetto degli stessi criteri di valutazione previsti per le misure coercitive, sul presupposto che, limitando la libera disponibilità di un bene, le stesse incidono in modo significativo su un diritto di libertà del soggetto. In quest'ottica, per il sequestro preventivo ha, altresì, previsto che il giudice, al momento dell'adozione, ne limiti la vigenza per il tempo strettamente necessario, che, comunque, non può essere superiore ai termini massimi per la custodia cautelare.

      5.4. Il titolo IV introduce la nuova figura delle «misure cautelari probatorie».
      Come si è già detto, la Commissione ha deliberato di trasferire le attività previste dal codice vigente come «mezzi di ricerca della prova» nel libro dedicato alle misure cautelari, allo scopo di operare un più efficace bilanciamento tra la tutela di diritti costituzionali di libertà del soggetto compromessi dall'esercizio di procedure invasive, quali ispezioni, intercettazioni, e l'esigenza di garantire un'adeguata efficienza all'azione investigativa del magistrato del pubblico ministero.
      È previsto che non possa essere disposta una misura cautelare probatoria se non sussistono «gravi elementi di prova della esistenza del reato», rendendo generale la regola oggi prevista solo per le intercettazioni telefoniche. Si è voluto, così, affermare che una misura cautelare probatoria non può essere utilizzata come mezzo per la ricerca di una notizia di reato, ma deve presupporla.
      Poiché perquisizioni, intercettazioni ed altri mezzi invasivi possono coinvolgere anche persone diverse dall'indagato o dall'imputato, la limitazione della loro sfera di libertà potrà avvenire solo «in presenza di un collegamento concreto ed attuale tra il reato per cui si procede ed il soggetto nei cui confronti viene disposta la misura».
      L'inosservanza delle disposizioni previste per l'emanazione di una misura cautelare probatoria comporta, in ogni caso, l'inutilizzabilità del contenuto o del risultato dell'atto. La Commissione ha, così, inteso privilegiare, tra la concezione cosiddetta «autoritaria» del processo, strumento per l'accertamento di reati, e quella cosiddetta «liberale», strumento di tutela delle libertà della persona, quest'ultima, ritenuto più aderente al dettato costituzionale.

      5.5. La Commissione ha disciplinato, nel capo V, le modalità di «accesso ai dati personali informatici» da parte del magistrato del pubblico ministero.
      La materia, di recente oggetto di un parziale intervento legislativo, è ora sottoposta, per la prima volta nel nostro ordinamento, a una disciplina organica che prevede la riserva giurisdizionale sia per l'acquisizione dei dati relativi alle comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche che per quelli «per qualunque ragione sottoposti a trattamento da società private o comunque dalle stesse custoditi presso banche dati informatiche o telematiche».

      5.6. Anche la disciplina delle impugnazioni è stata oggetto di significative modifiche.
      Innanzitutto, la Commissione ha unificato in un apposito capo le impugnazioni distintamente previste dal codice vigente per le misure cautelari coercitive e reali; ha, inoltre, esteso la possibilità di riesame anche al decreto di perquisizione, «indipendentemente dall'esito», e al decreto d'accesso ai dati personali informatici.
      Nel procedimento di riesame sono stati semplificati alcuni passaggi che, con l'attuale disciplina, creano non pochi disguidi. È stato chiarito che, se la richiesta ha ad oggetto un'ordinanza d'applicazione di misura cautelare personale, gli atti posti a sostegno della richiesta devono essere trasmessi al tribunale dal

 

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giudice che ha emesso il provvedimento, eliminando il generico riferimento all'autorità giudiziaria.
      È stato previsto che l'avviso di fissazione dell'udienza va notificato solo al difensore che ha presentato la richiesta di riesame e non a tutti i difensori dell'arrestato, spesso di difficile individuazione nel breve tempo previsto per la procedura di riesame. Per il riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, è stata eliminata la sospensione dei termini per il periodo feriale, così garantendo il rispetto del principio del giudice naturale.
      Per favorire un approfondito esame del merito della vicenda, a richiesta del difensore, il termine di dieci giorni per la decisione può essere prorogato fino a venti giorni, quando il riesame abbia ad oggetto un'ordinanza d'applicazione di cautela personale particolarmente complessa.
      È stato, infine, individuato un unico tribunale della libertà, tanto per il riesame delle cautele personali, quanto per il riesame delle cautele reali e probatorie.

      6. Libro quinto. Indagini preliminari e udienza di comparizione. - La Commissione ha avvertito l'esigenza di porre ordine nella materia delle iscrizioni delle notizie di reato e, in particolare, ha provveduto a operare la necessaria distinzione di compiti e ruoli tra polizia giudiziaria (che può acquisire e ricevere notizie di reato) e magistrato del pubblico ministero (il quale può solo ricevere e non già acquisire le notizie di reato), allo scopo di eliminare la promiscuità di funzioni tra magistrato del pubblico ministero e polizia giudiziaria, chiarendo che la ricerca della notizia di reato è prerogativa della seconda e che il primo riceve la notizia dettagliatamente descritta nei suoi elementi (la norma che si assume violata, le generalità della persona cui il reato è attribuito, la data ed il luogo del commesso reato).

      6.1. Il superamento della attuale commistione di funzioni, per l'accentuazione della competenza investigativa della polizia giudiziaria e l'attribuzione al magistrato del pubblico ministero della conduzione dell'indagine preliminare in senso stretto, è scelta perfettamente in linea con lo spirito del sistema accusatorio, suggerita, tra l'altro, anche dalla considerazione che la formazione dei magistrati del pubblico ministero è estranea alla cultura dell'investigazione: in quanto acquisita in modo contingente, e cioè contestualmente al conferimento di quelle specifiche funzioni, essa non sempre è esercitata con la richiesta professionalità.
      Evidente è, in questo contesto, una più chiara «individuazione delle attribuzioni» della «polizia giudiziaria» nonché una più chiara individuazione dei suoi rapporti con il magistrato del pubblico ministero.
      Si è deciso, innanzitutto, di eliminare le «sezioni» di polizia giudiziaria, ritenute fonti di discriminazione tra gli stessi investigatori (i migliori sono solitamente in forza ai gruppi operativi esterni a tali sezioni, gli appartenenti alle quali finiscono con lo svolgere compiti d'ufficio), ma anche strumenti di deresponsabilizzazione di quelle attribuzioni che dovrebbero essere proprie, appunto, della polizia giudiziaria e si è optato anche per la creazione di un organismo provinciale, coordinato da un gruppo interforze, che risponda ai procuratori della Repubblica ed al procuratore generale presso la corte di appello.
      È parso opportuno, poi, prevedere che la «polizia giudiziaria», pur dopo l'intervento del magistrato del pubblico ministero, sia tenuta a svolgere «attività di iniziativa», nella quale si inseriscono anche le figure dell'«arresto in flagranza e dell'arresto fuori del caso di flagranza».
      Si tratta di un'unica misura provvisoria utilizzabile dalla polizia giudiziaria per la flagranza di reato e per la fuga del sospettato.
      L'arresto in flagranza è obbligatorio, per evitare incertezze e disparità applicative e il fermo - definito arresto fuori dei casi di flagranza - è ancorato non già al pericolo di fuga, ma alla fuga in atto.
      La scelta ha imposto la revisione dell'intero titolo alla luce dell'opportuna semplificazione dell'attuale disciplina.
      Si è ritenuto, in linea con lo spirito più accentuatamente accusatorio della riforma

 

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che si vuole attuare, che la cosiddetta «precautela» debba essere sottratta al magistrato del pubblico ministero, che è parte processuale, ed affidata alla polizia giudiziaria, la quale è chiamata ad intervenire nei soli casi in cui è prevista l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza e quasi-flagranza di reato (in questa situazione, l'azione della polizia giudiziaria sarebbe, per così dire, guidata dai concetti di flagranza e di quasi-flagranza, enunciati dallo stesso legislatore).
      Superata la distinzione tra obbligatorio e facoltativo, l'arresto si configura come iniziativa di polizia giudiziaria, esperibile sempre che sussista lo stato di flagranza e di quasi-flagranza e si ravvisi un reato non colposo punito con la pena superiore ad un determinato limite edittale.
      Quanto al prosieguo, e cioè alla fase immediatamente successiva all'arresto, si è ritenuto di adottare, in via generale, la procedura oggi prevista per la convalida dell'arresto e il giudizio direttissimo nei procedimenti davanti al giudice monocratico. E questa scelta trae giustificazione dalla più rigorosa osservanza del principio del giudice naturale che, in tale modo, è individuato dalla situazione di fatto (flagranza del reato), piuttosto che dall'opzione della parte in tema di scelta del rito, nonché dall'oggettivo garantismo di un percorso processuale che consente all'imputato l'immediata difesa davanti al giudicante. Per l'effetto, l'udienza di convalida del giudice per le indagini preliminari è limitata ai casi di arresto che prescindono dalla flagranza.
      In esito alla convalida, il giudice competente, se non ritiene di disporre la scarcerazione, protrae, con la stessa ordinanza di convalida, la durata dell'arresto per il tempo del giudizio, e comunque non oltre i trenta giorni. Il termine per preparare la difesa non può essere superiore ai dieci giorni, e, all'esito del giudizio, qualora ne ricorrano condizioni e presupposti di legge, il giudice emette ordinanza di custodia cautelare.
      Per quel che concerne l'«arresto fuori flagranza di reato», si è prevista, per esso, la legittimazione del magistrato del pubblico ministero in caso di fuga, anche in relazione all'impossibilità di identificare l'indiziato. Occorre che si tratti di persona gravemente indiziata di un delitto, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi.
      Resta ferma, come detto, l'iniziativa della polizia giudiziaria se non è possibile per l'urgenza attendere il provvedimento del magistrato.
      In linea con le modifiche fin qui descritte, si è pervenuti alla logica conclusione dell'abrogazione del fermo di indiziato di reato, modificato nel senso appena sopra precisato. È stata mantenuta, invece, la «facoltà di arresto da parte di privati».
      In ordine al «divieto di arresto o di fermo in determinate circostanze», prescindendo dall'inevitabile adeguamento lessicale, si è proposta l'esclusione della precautela anche nel caso di un'offensività particolarmente modesta del fatto di reato, coerentemente con un principio già entrato a far parte del nostro ordinamento con l'istituzione del giudice di pace penale.
      È parsa necessaria, anche, una puntualizzazione del concetto stesso di «fuga», ritenendo in fuga chi, senza giustificato motivo, si sia allontanato dai luoghi di abituale dimora o residenza o abbia compiuto atti o tenuto comportamenti tali da attestare inequivocabilmente l'intento di allontanarsi da detti luoghi.
      Quanto alla nozione della «flagranza» e della «quasi-flagranza», si è ritenuto di contenere la quasi-flagranza entro le 48 ore successive al fatto, tenuto conto della necessità di procedere, a volte, alla identificazione personale mediante proiezione di filmati registrati da apparecchi posti a vigilanza di luoghi esposti a furti e rapine.

      6.2. Quanto alle norme che regolano l'attività del «magistrato del pubblico ministero»:

      6.2.1. è parsa inutile - e in contraddizione con lo spirito accusatorio del sistema -

 

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la previsione di «indagini a favore dell'indagato»;

      6.2.2. ai fini delle determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, si è previsto che, quando procede ad «accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica», per cui sono necessarie specifiche competenze, il magistrato del pubblico ministero:

          a) può avvalersi di ausiliari tecnici scelti tra gli appartenenti alla polizia giudiziaria ovvero tra le persone che svolgono la loro attività professionale presso servizi pubblici, che non possono rifiutare la loro opera in quanto rientrante nei doveri d'ufficio;

          b) avvisa gli interessati della data fissata per il conferimento dell'incarico ad un perito e della facoltà di nominare periti, quando gli accertamenti riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione e trattasi di accertamenti urgenti.

      Va osservato, quanto a quest'ultimo aspetto, che è parso opportuno:

          a) mantenere la previsione di riserva di incidente probatorio, sia pur semplificata nelle forme;

          b) parlare non più di consulenza bensì di perizia, autorizzata dal giudice, in ragione sia del fatto che la consulenza tecnica, disposta dal magistrato del pubblico ministero senza alcun contraddittorio, finisce immancabilmente nel fascicolo per il dibattimento, anche se in esito all'esame del tecnico, determinando un vulnus rispetto al contraddittorio effettivo, sia in ragione dell'eccessivo ricorso al conferimento di incarichi dispendiosi per attività che ben dovrebbe svolgere il magistrato direttamente.

      6.2.3. Sulla «informazione di garanzia» e, in particolare, sul momento in cui la stessa debba essere inviata alla persona indagata, è emersa l'esigenza che, rispetto all'attuale sistema, tale momento venga decisamente anticipato.
      Si è convenuto, inoltre, sulla idea generale di affievolire il sistema rigido del doppio binario per creare piuttosto un meccanismo che consenta al magistrato, ogni qualvolta emergano esigenze di maggior cautela processuale, di ottenere dal giudice di poter procrastinare il momento della discovery.
      Si è stabilito, pertanto che, qualora non debba richiedere l'archiviazione, e comunque entro sessanta giorni dalla iscrizione del nome dell'indagato nel registro, a pena di inutilizzabilità degli atti che verranno compiuti, il magistrato invii una informazione di garanzia, con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e con invito a nominare un difensore di fiducia e con l'avviso che, in mancanza, in occasione del compimento di un atto per il quale il difensore ha facoltà di assistere, sarà nominato un difensore di ufficio.
      In ogni caso l'invio dell'informazione di garanzia deve precedere il compimento di atti rispetto ai quali il difensore ha diritto di essere avvisato.
      Se sussistono specifiche esigenze attinenti alle indagini, il magistrato del pubblico ministero, su autorizzazione del giudice che provvede con decreto motivato, differisce l'invio dell'informazione di garanzia e la comunicazione delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato fino alla scadenza del termine di legge per la conclusione delle indagini preliminari.

      6.2.4. In ordine all'obbligo del segreto, si è suggerito un rafforzamento concettuale di tale obbligo, per stabilire che gli atti e le attività compiuti dal magistrato del pubblico ministero (e dalla polizia giudiziaria) sono coperti dal segreto, anche per il loro contenuto, fino a quando l'indagato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
      Pur nella consapevolezza di dover contrastare quella nociva divulgazione di notizie che, a volte irreparabilmente, danneggia la reputazione della persona indagata, si è, comunque, convenuto che il segreto esteso all'intera fase delle indagini non sarebbe in concreto attuabile, né si

 

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sarebbe conciliato con le istanze di una società civile aperta all'informazione e, in alcuni casi, sarebbe stato pregiudizievole per lo stesso indagato.

      6.2.5. Si è provveduto a ridurre il numero dei «registri» esistenti presso le procure, spesso frutto di prassi o consuetudini che vanno a collocarsi oltre la previsione normativa, anche per ampliare gli spazi di intervento del giudice, in funzione di controllo del rispetto dei limiti legali previsti per l'attività investigativa.

      6.2.6. Si è rivista la disciplina degli «atti non costituenti reato»: è emerso l'orientamento di non consentire qualsiasi iscrizione inerente a fatti o episodi non costituenti illecito penale, nel presupposto della superfluità della stessa.

      6.2.7. Sono state apportate modifiche in tema di «anonimi», al fine di eliminare gli attuali abusi: pur in presenza di un divieto esplicito, nascono, oggi, inchieste da anonimi e soprattutto scritti anonimi sono inseriti in fascicoli processuali.
      Si è ribadito che la polizia giudiziaria, secondo le proprie prerogative, può trarre spunto dagli scritti anonimi (al pari delle telefonate anonime che segnalano eventi delittuosi), ma si è inteso escludere che il magistrato del pubblico ministero possa attivare indagini in base all'anonimo.

      6.2.8. È stato esteso alle indagini contro «ignoti» il controllo di legalità del giudice sui termini delle indagini stesse, allo scopo di verificare se effettivamente il nominativo del soggetto raggiunto dalle investigazioni continui a rimanere ignoto. In tal guisa, si è pervenuti all'unificazione della disciplina, pur nel permanere della distinzione noti-ignoti.

      6.3. Interventi sono stati eseguiti anche a proposito della partecipazione difensiva alla fase delle indagini.

      6.3.1. È noto che le «istanze della difesa», a volte, non vengono prese in considerazione, neanche per essere rigettate.
      Se si imponesse al magistrato del pubblico ministero di rispondere motivando il diniego, gli si imporrebbe anche di disvelare la sua strategia processuale prima del momento della discovery. È parso opportuno prevedere, pertanto, che il magistrato sia tenuto a provvedere solo quando l'indagato chieda di essere sentito.

      6.3.2. È stata riconosciuta al soggetto imputato di fatti connessi la «facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni», ma tale facoltà può essere esercitata soltanto una volta e, se accetta di rispondere, non potrà in seguito più rifiutarsi.

      6.3.3. Si è rivisto il settore di disciplina delle «indagini difensive», rispetto al quale è emersa la necessità di una diversa collocazione sistematica che ne sottolinei la pari dignità con l'attività di indagine svolta dal magistrato del pubblico ministero, pur nel riconoscimento delle inevitabili differenze, alcune delle quali, anzi, vanno mantenute proprio a tutela della deontologia della classe forense (esclusione della qualifica di pubblico ufficiale per il difensore che riceve dichiarazioni o assume informazioni).

      6.4. Sono stati rafforzati i «controlli di legalità del giudice per le indagini preliminari», rendendone concreta la verifica sui termini delle indagini preliminari - estesa, come detto, ai procedimenti contro ignoti - ma anche attribuendo a questo giudice funzioni specifiche di controllo sui tempi di iscrizione della notizia di reato, individuando sanzioni di nullità o di inutilizzabilità per le indagini svolte prima della stessa iscrizione.
      In linea con la valorizzazione del ruolo del giudice per le indagini preliminari, è stata avvertita l'esigenza che la richiesta di archiviazione sia comunicata non soltanto alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta, ma anche all'indagato, con possibilità di adire la corte di appello, qualora il giudice non abbia tenuto conto delle censure mosse in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione.
      I nuovi e più ampi controlli di legalità del giudice per le indagini preliminari, nonché la

 

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prospettata modifica del «giudizio abbreviato», nella direzione di un suo differimento davanti al giudice del dibattimento (del quale, come detto, è stata rivista la competenza in ragione della sua composizione collegiale o monocratica, allo scopo di evitare che reati gravi siano giudicati dall'organo monocratico e, viceversa, illeciti di minore allarme sociale restino affidati a quello collegiale), non attenuano «il ruolo del giudice della prima udienza», anteriore alla fase del dibattimento, chiamato ad effettuare un'effettiva verifica sulla necessità del dibattimento.

      6.5. Si è convenuto sulla modulazione dell'udienza preliminare come «udienza di comparizione», nella quale il giudice fonda la propria decisione sui risultati probatori che il magistrato del pubblico ministero si prefigge di raggiungere nella sede dibattimentale (fatti e mezzi di prova), nonché sul contestuale esame delle investigazioni difensive, miranti al contrapposto obiettivo di dimostrare l'insostenibilità dell'accusa.

      6.5.1. Nell'ottica di un'anticipazione sistematica dell'attività difensiva, mirata a bilanciare i poteri del magistrato del pubblico ministero, è stata approvata la proposta di prevedere che le parti indichino, già in sede di udienza di comparizione, i mezzi di prova di cui intendano valersi al dibattimento e che il giudice dell'udienza di comparizione possa fondare la prognosi di necessità del futuro giudizio sulla scorta dei mezzi di prova che saranno in quella sede articolati.
      Nel nuovo contesto si è sottolineata, peraltro, l'esigenza di modificare la novella che ha profondamente innovato la disciplina dell'udienza preliminare, nella parte in cui ha attribuito al giudice di quell'udienza i poteri di integrazione delle indagini che, certamente, si collocano al di fuori del sistema accusatorio.
      Si è anche avvertita la necessità di rivedere la disciplina della procedura contumaciale, attualmente inserita, appunto, nel contesto dell'udienza preliminare, alla luce della recente sentenza della Corte europea per i diritti dell'uomo (sentenza del 10 novembre 2004), nella quale è stata ravvisata violazione del diritto del condannato in contumacia, che non abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento, ad essere restituito nel termine.
      Le critiche rivolte dalla Corte all'ordinamento italiano si traducono in una censura più estesa che attinge certamente il sistema delle notifiche, nel quale si profila ancora rilevante il divario tra conoscenza legale e conoscenza effettiva.
      È stata integralmente condivisa la nuova impostazione in tema di sentenza di non luogo a procedere, per quanto concerne la collocazione al primo posto del criterio di insostenibilità dell'accusa in giudizio, quale parametro della decisione del giudice di comparizione.
      In merito all'applicazione contestuale della misura di sicurezza diversa dalla confisca, è stata ravvisata l'opportunità di prevedere o, comunque, di non escludere, la possibilità che la sentenza contenga altresì la statuizione inerente all'applicazione della misura di sicurezza, per evidenti ragioni di economia processuale.
      In linea con tale principio è parsa la proposta di inserire, oltre all'appello dell'ufficio del pubblico ministero, anche quello del soggetto nei cui confronti sia stata applicata la misura.

      6.5.2. In caso di rinvio a giudizio dovrà essere trasmesso al giudice dell'udienza preliminare alla istruzione dibattimentale il solo decreto che dispone il giudizio, unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero e solo in estratto - cioè per le sole intestazione e parte dispositiva - gli eventuali provvedimenti che abbiano disposto misure cautelari in corso di esecuzione.
      Si è ritenuto di non attribuire al giudice dell'udienza di comparizione la competenza funzionale relativa ai provvedimenti di ammissione dei mezzi di prova, trattandosi di competenza che va riconosciuta al giudice del giudizio.
      Non si è potuto fare a meno di prendere atto dell'attuale discrasia sistematica che fraziona il procedimento ammissivo dei mezzi di prova in due segmenti: uno riservato al giudice dell'udienza di comparizione

 

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per la formazione del fascicolo del dibattimento; l'altro riservato al giudice del dibattimento relativo all'ammissione degli altri mezzi di prova. È apparsa, pertanto, razionale la soluzione che affida al giudice del giudizio, nell'apposita udienza preliminare alla istruzione dibattimentale, il compito di selezionare tutto il materiale probatorio che interessa il dibattimento. Pertanto sarà questo giudice che costituirà nel contraddittorio delle parti il fascicolo del dibattimento e deciderà sull'ammissione dei mezzi di prova.
      È stata sottolineata l'importanza del momento ammissivo dei mezzi di prova che deve essere preceduto da una analitica descrizione dei fatti che si intendono provare e dei relativi mezzi di prova, affinché il giudice possa consapevolmente decidere sull'ammissione.
      Ovviamente rimane in vigore la facoltà delle parti di concordare l'acquisizione di atti di indagine, dell'accusa e della difesa, anche al di fuori dell'elencazione degli atti che, per legge, entrano nel fascicolo per l'istruzione dibattimentale.
      In conclusione, quindi, in sede di udienza preliminare alla istruzione dibattimentale si procederà alla verifica della regolare costituzione delle parti, all'esame di eventuali eccezioni, alla formazione del fascicolo per l'istruzione dibattimentale ed alla ammissione dei mezzi di prova.

      7. Libro sesto. Procedimenti speciali. - Sono stati mantenuti gli istituti dell'applicazione della pena su accordo tra le parti, del giudizio abbreviato, del giudizio immediato, del giudizio direttissimo e del decreto penale di condanna.

      7.1. Sono state apportate modifiche solo al «giudizio abbreviato» e all'«applicazione della pena su richiesta», per chiarire che il ricorso ad essi può aver luogo solo innanzi al giudice competente per materia.

      7.2. Il primo torna ad essere un giudizio allo stato degli atti.

      7.3. Quanto all'applicazione della pena concordata, i limiti previsti per il rito praticabile in limine litis non valgono ovviamente per la richiesta formulata in corso di giudizio: quest'ultima previsione tende solo a risparmiare un inutile dispendio di energie, rappresentato dalla prosecuzione di un dibattimento che oramai è orientato nella decisione, dalla redazione della sentenza, dallo svolgimento del grado di appello.

      8. Libro ottavo. Processo davanti al giudice monocratico. - In questo settore si è proceduto semplicemente ad un riordino sistematico, frazionando il libro in due titoli, dedicati, il primo, al giudizio davanti al giudice monocratico del tribunale e, il secondo, al procedimento davanti al giudice di pace.
      Quanto all'uno, sono state operate rettifiche per ribadire il carattere accusatorio anche di questa forma di processo.

      9. Libro nono. Impugnazioni. - Le proposte di modifica della disciplina delle impugnazioni tendono al soddisfacimento di esigenze di massima semplificazione.

      9.1. È stato fissato un «termine unico di trenta giorni», entro il quale l'appellante deve depositare l'atto di impugnazione, con previsione del deposito (nella cancelleria del giudice ad quem da effettuarsi nei successivi «quindici giorni») della richiesta di notifica o di comunicazione alle altre parti interessate. L'uno e l'altro termine sono posti a pena di inammissibilità.
      Il cosiddetto «filtro di ammissibilità» è rimesso al giudice ad quem, che rende apposito provvedimento, ricorribile per cassazione, ma senza effetto sospensivo.

      9.2. Sempre in funzione della semplificazione delle forme, si è previsto che la Corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza di condanna in grado di appello seguita a sentenza di assoluzione in primo grado, disponga direttamente la «cessazione delle misure cautelari».

      9.3. Sono state specificate le nozioni di «capo» e «punto» della sentenza, così

 

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come è stata definita la nozione di «violazione di legge», mediante opportuni chiarimenti anche in tema di requisiti della sentenza.

      9.4. È stata ampliata l'attuale previsione della «correzione di errore materiale» e tanto dovrebbe evitare il ricorso al rimedio dell'appello per correggere errori rientranti nell'ambito della nozione di errore materiale.
      Per l'effetto, è stata modificata anche la norma sul «ricorso straordinario per cassazione».

      9.5. Il «secondo grado di giudizio» non è più inteso come reiterazione automatica del primo grado, ma è riportato alla natura, espressamente prevista dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, di rimedio consentito all'imputato condannato di ottenere il riesame nel merito della sentenza.
      L'«appello» è consentito al solo imputato, avverso sentenza di condanna. Resta salva la previsione dell'appello incidentale.
      La trattazione dell'appello avviene in udienza in «camera di consiglio», a meno che non vi sia una richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale, con il conseguente riconoscimento del diritto alla controprova e del diritto dell'imputato all'esame.
      In tale ultima ipotesi, tre gli aspetti vincolanti:

          a) l'udienza è pubblica;

          b) la rinnovazione è obbligatoria;

          c) l'appellante è, comunque, citato (a differenza di quanto avviene nel caso in cui si proceda alla trattazione in camera di consiglio, per la quale l'appellante è citato solo se ne faccia specifica richiesta).
      È stata riconosciuta la facoltà di presentare motivi aggiunti relativamente a capi già impugnati e riguardo a nuovi punti.
      Il rappresentante del pubblico ministero, che abbia presentato le conclusioni in primo grado e che ne abbia fatto richiesta, può essere autorizzato dal procuratore generale ad affiancare, nel giudizio di appello, il sostituto procuratore generale. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale.

      9.6. Quanto al «ricorso per cassazione», sono stati adottati opportuni accorgimenti.

      9.6.1. Ci si è soffermati sul ben noto problema dell'inammissibilità, prevedendo che quando il Presidente della Corte di cassazione rileva una causa di inammissibilità, egli assegna il ricorso ad apposita sezione. Per i casi più fluidi (ricorso proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi espressamente previsti, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello), il presidente della sezione fissa senza ritardo la data per la decisione in camera di consiglio. È previsto che il difensore possa essere sentito tutte le volte che la decisione sull'inammissibilità implichi un momento valutativo (manifesta infondatezza, censure sul fatto).
      La pronuncia di inammissibilità non è, in linea di massima, consentita in pubblica udienza (a meno che non si debba sancire una situazione che sia sfuggita al filtro preliminare di inammissibilità): per i casi di manifesta infondatezza e delle valutazioni in fatto va pronunciato provvedimento di rigetto.

      9.6.2. In ordine al problema relativo al diritto dell'imputato alla dichiarazione della prescrizione, si è deciso di consentire alla Corte di cassazione di potersi pronunciare su tutte le questioni rilevabili di ufficio.

      9.6.3. È stata esclusa la possibilità di ricorso personale per cassazione, trattandosi di grado di giudizio tecnico e non essendo prevista la partecipazione personale in udienza.

      9.7. Anche in tema di revisione le modifiche che si propongono sono ispirate

 

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a criteri di razionalità oltre che ad esigenze di adeguamento del dato normativo.

      9.7.1. È apparso necessario escludere la valutazione di manifesta infondatezza, che rende, allo stato, estremamente macchinoso e dispendioso il rimedio.

      9.7.2. È stato inserito un ulteriore caso di revisione, in aderenza ai princìpi enunciati in materia dalla giurisprudenza della Commissione europea dei diritti dell'Uomo.

      9.8. Contro il «decreto di archiviazione» del giudice per le indagini preliminari, che abbia omesso di considerare o non abbia valorizzato gli elementi probatori offerti dalla parte offesa, è previsto, come accennato, «reclamo nel merito» dinanzi alla corte di appello, che potrà o restituire gli atti al procuratore generale per il compimento di ulteriori indagini o disporre la formulazione dell'imputazione coatta.

      9.9. È stato approfondito il tema della «incompatibilità del giudice del riesame», in caso di annullamento di un suo provvedimento da parte della Corte di cassazione.

      10. Libro decimo. Esecuzione. - Incisive, ad avviso della Commissione, anche le modifiche proposte al tema della esecuzione.

      10.1. L'avvenuta legittimazione alla costituzione di parte civile della sola persona offesa dal reato che abbia ricevuto un danno ha comportato la necessità di intervenire sulle disposizioni del codice di procedura penale regolanti gli effetti della sentenza penale.
      A tale proposito, è utile chiarire che, vi sia stata oppure no costituzione di parte civile, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio civile, nel giudizio amministrativo e nel giudizio per responsabilità disciplinare solo in caso di pronuncia attestante che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.
      L'attuale articolato è stato unificato, quindi, in due distinte disposizioni: l'una relativa all'efficacia delle sentenze di assoluzione; l'altra relativa all'efficacia delle sentenze di condanna.

      10.2. La presenza di due o tre giudici - a tacere, poi, dell'ufficio del pubblico ministero - nella fase della esecuzione della pena è apparsa elemento di ridondanza del sistema e di possibili disarmonizzazioni.
      Si è deciso di devolvere all'organo giurisdizionale tutte le competenze della fase della esecuzione (a partire dalla messa in esecuzione della pena e fino alla definitiva espiazione della stessa), nella convinzione che il giudice non possa limitarsi a risolvere gli incidenti di esecuzione e che non possa essere, certo, l'ufficio del pubblico ministero l'organo legittimato ad occuparsi della esecuzione di provvedimenti giurisdizionali.
      Sono state previste due distinte competenze in prima istanza: quella del «giudice dell'esecuzione» e quella del «giudice di sorveglianza».
      La competenza in sede di «reclamo» è del «tribunale della esecuzione», la cui composizione varia a seconda dell'oggetto del reclamo.
      Il procedimento in primo grado è stato strutturato come procedimento «de plano», con contraddittorio differito al momento del «reclamo» innanzi al «tribunale della esecuzione», che rende una decisione ricorribile per cassazione.

      11. Libro undicesimo. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere. - In questo settore, le modifiche hanno riguardato l'inserimento della legge sul mandato di arresto europeo e un chiarimento in tema di estradizione e di rogatorie.

      11.1. Così come regolata dalla recente legge 22 aprile 2005, n. 69, di conformazione alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, la disciplina del mandato di arresto europeo

 

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non si presta ad un inquadramento sistematico all'interno della attuale disciplina codicistica, perché integralmente sostitutiva della procedura di estradizione con la nuova procedura della «consegna» del destinatario di un mandato di arresto emesso da uno Stato membro.
      È, questa, la ragione per la quale la Commissione ha ritenuto di operare solo con collegamenti atti a rivedere l'ambito di operatività delle norme codicistiche, che disciplinano il procedimento di estradizione, sia attiva che passiva.
      Si è previsto che i rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, dalla citata decisione quadro dell'Unione europea del 13 giugno 2002, dalle norme delle altre Convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale.
      Se, con riferimento alla materia regolata dai titoli che riguardano istituti diversi dal mandato di arresto europeo, mancano le norme convenzionali o di diritto internazionale generale o esse non dispongano diversamente, si applicano le norme contenute nei titoli richiamati.
      Ciò chiarito, il titolo II, dedicato alla esecuzione del «mandato di arresto europeo» riproduce le norme della citata legge 22 aprile 2005, n. 69, di attuazione della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, con le rettifiche rese necessarie, appunto, dalla trasformazione della legge in un titolo autonomo del libro undicesimo del codice e dall'adeguamento alle modifiche concordate.
      Per effetto di tale inserimento, gli attuali titoli II, III e IV sono divenuti automaticamente titolo III, IV e V e nelle norme di apertura delle disposizioni relative al procedimento di estradizione (attiva e passiva) è stata fatta salva l'applicazione delle norme in tema di mandato di arresto europeo.
      Le disposizioni transitorie e finali della legge sono state rettificate, così come sono state attualizzate le previsioni, adoperando il verbo all'indicativo presente anziché al futuro.

      11.2. Si è ribadito il divieto di estradizione verso Paesi che nel loro ordinamento prevedono la pena di morte, in aderenza alla pronuncia della Corte costituzionale, ma si è lasciata aperta la possibilità di accordi bilaterali, in virtù dei quali lo Stato richiedente si impegni a commutare la pena di morte in pena detentiva, sia in caso di estradizione per la esecuzione, sia in caso di estradizione per il processo.

      11.3. In tema di rogatorie, si è affrontato il problema dell'acquisizione dei documenti e della loro autenticità e si è convenuto di riconoscere valore alla prassi, sempre che essa sia concordata dall'autorità giudiziaria centrale.

      12. Conclusioni. - In sintesi, i contenuti innovativi del progetto del nuovo codice di procedura penale possono individuarsi nel conseguimento di un duplice obiettivo.

      12.1. La Commissione ha ritenuto di dover confermare le linee direttive della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81, eliminando, dalle «novelle» che si sono succedute nei diciassette anni di vigore del codice del 1988, le parti che più clamorosamente si sono discostate da essa, con effetti deleteri sulla funzionalità della giustizia penale e sulla sua credibilità.
      È stata ribadita la distinzione tra «procedimento per l'azione» e «processo per il giudizio», valorizzando l'impegno della polizia giudiziaria in funzione dell'acquisizione della «notizia di reato» e l'impegno dell'ufficio del pubblico ministero in funzione delle investigazioni per «l'esercizio dell'azione». E al giudice è stata restituita la sua credibilità, anche prevedendo che, quando sia interessato al procedimento, non vi sia spazio alcuno per «giurisdizioni domestiche», ma si utilizzino predeterminati meccanismi di rotazione, che assicurano trasparenza anche in queste particolari situazioni.

 

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      Il valore della giurisdizione è stato esaltato anche con la prescritta inderogabilità delle disposizioni attributive della competenza e con il riconoscimento effettivo del diritto delle parti alla prova.
      Il ripristino dell'ordine delle competenze ha comportato la valorizzazione della collegialità per determinate ipotesi di reato,con attribuzione al giudice monocratico di competenza materiale limitata, previa riduzione dell'ambito cognitivo del giudice di pace (essendo apparso davvero singolare che un giudice monocratico possa giudicare reati di rilevante allarme sociale, per i quali è ordinariamente competente la corte di assise, solo perché l'imputato effettua scelte dettate da motivi di convenienza).La giurisdizione è garanzia non solo per l'individuo, ma per l'intera collettività e non deve essere consentita la «scelta» del giudice, per l'immanenza del principio del giudice naturale. In questa stessa ottica si è previsto, anche, che all'arresto in flagranza consegua, in ogni caso, il giudizio direttissimo davanti al giudice competente per materia, non potendo essere tollerabile che sia una parte, questa volta l'accusa, a stabilire se l'arrestato debba comparire davanti al giudice per le indagini preliminari per la convalida o davanti al giudice del dibattimento per il giudizio.
      Quanto al diritto alla prova - recepito dalla Commissione in conformità con la impostazione tendenzialmente accusatoria del processo - sono state introdotte proposte di riforma volte ad assicurare che quel diritto sia esercitato senza limitazioni: la scelta è stata motivata con la convinzione che la funzione del giudice vada esaltata anche per questa via, se è vero che solo l'effettivo riconoscimento della par condicio tra le parti consente al giudice di esercitare efficacemente la giurisdizione.
      E, nell'ottica accusatoria, sono state formulate le ulteriori proposte di riforma, intese ad eliminare la distinzione tra consulente di parte e perito di ufficio, nella convinzione che il diritto alla prova è anche diritto alla perizia; a sottrarre la competenza nella fase della esecuzione della sentenza di condanna al magistrato del pubblico ministero, parte nel processo di cognizione, nella convinzione che debba essere il giudice ad eseguire le sue sentenze; a specificare i limiti al libero convincimento - necessari, a giudizio della Commissione, alla doverosa valorizzazione della indipendenza del giudice - per impedire che l'organo della giurisdizione resti «ingabbiato» nella «circolarità» delle dichiarazioni che gli imputati rendono contra alios.
      Anche il settore cautelare ha subìto interventi radicali, sia per riaffermare la riserva di legge e di giurisdizione per tutti gli atti e per tutte le iniziative comportanti invasione della sfera delle libertà costituzionali delle persone coinvolte nel procedimento ( individuando, come presupposto delle misure cautelari personali, i gravi elementi di colpevolezza, valutabili con gli stessi criteri adoperati dal giudice del giudizio) sia per eliminare la categoria dei mezzi di ricerca della prova, trasferiti, nell'ambito delle cautele, come cautele probatorie, assistite dalle garanzie di riserva di legge e giurisdizione, con l'aggiunta di una specifica disciplina per l'acquisizione processuale di dati informatici personali e la riconduzione della perquisizione alla sua funzione tipica di ricerca di dati probatori e non della notizia di reato. Ma l'innovazione di maggiore spessore è senz'altro quella che subordina l'applicazione delle cautele personali alla previa audizione dell'interessato, con facoltà di esercizio del diritto alla prova, prima che il giudice si pronunci sulla richiesta del magistrato del pubblico ministero.

      12.2. L'altro obiettivo, di fondamentale importanza, era lo «snellimento» del procedimento penale, in modo da renderne possibile la definizione in tempi ragionevoli.
      Ed in proposito numerosi sono stati gli accorgimenti.
      Sono stati ridotti i tempi per le indagini, prorogabili solo a fronte di comprovate esigenze investigative.

 

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      Sono stati ridimensionati i casi di connessione e i casi di impugnazione con l'ampliamento delle ipotesi di correzione dell'errore materiale nei provvedimenti giurisdizionali.
      Sono state previste l'archiviazione degli atti e la declaratoria di non doversi procedere per tenuità ed occasionalità del fatto.
      Si è intervenuto sulla legittimazione alla costituzione di parte civile, riconosciuta solo alla persona che sia, ad un tempo, persona offesa e danneggiata dal reato.
      E tende a snellire il processo anche la stessa previsione di assunzione di mezzi di prova prima della decisione sulla richiesta di applicazione di cautele personali, nel contraddittorio tra le parti, con facoltà dell'interessato di chiedere l'immediata citazione a giudizio, anche per praticare soluzioni alternative al dibattimento.
      Analoghe le considerazioni con riferimento: alla possibilità, per l'imputato, di ottenere la definizione, mediante accordo sulla pena con il magistrato del pubblico ministero, in qualsiasi stato del dibattimento; al valore che dovrà riconoscersi alle sanzioni processuali, da intendere, in futuro, come rimedi tesi ad evidenziare i vizi dell'atto che compromettono la tutela delle garanzie e l'esercizio dei diritti delle parti, dei quali si impedisce, però, ogni strumentalizzazione volta a conseguire obbiettivi estranei alla logica del «giusto processo».
      Anche i mezzi di impugnazione tendono, nelle proposte di modifica, ad elidere intenti meramente dilatori e formalismi eccessivamente vincolanti.
      L'appello è stato inteso come diritto dell'imputato ad ottenere il riesame del merito e il grado di appello è stato semplificato, con valorizzazione dell'udienza camerale e ricorso all'udienza pubblica per la sola assunzione dei mezzi di prova; mentre il ricorso per cassazione è stato arricchito con casi di correzione dell'errore materiale, ancora tendenti a facilitare la definizione del processo.
      Nella fase esecutiva, infine, il giudice provvede de plano sulle richieste di benefìci penitenziari e il tribunale della esecuzione si limita al controllo, nelle forme della giurisdizione, a seguito di reclamo.
 

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